Ecovillaggio: dagli antichi pagliai alle moderne costruzioni eco-compatibili
Passeggiando tra i territori nostrani è facile imbattersi nei cosidetti “Pagliari”, i Pagliai esempi tradizionali e antichi di un’architettura rurale contadina purtroppo in via di estinzione.
Nelle campagne irpine ormai si vedono sempre meno queste caratteristiche strutture rurali, ormai vecchie e fatiscenti in via di abbandono; solo pochi pagliai sono rimasti intatti e adibiti alle antiche funzioni. Col tempo infatti sono stati quasi tutti sostituiti con strutture in lamiera più veloci da costruire e meno bisognose di manutenzione, meno affascinati ed ecocompatibili col territorio e la natura e soprattutto poco sfruttabili dal punto di vista di un turismo ecosostenibile.
Lo “pagliaro” rappresenta un’impronta importante della nostra tradizione, cultura ed identità contadina da recuperare e rivalorizzare. Una soluzione architettonica rurale che nacque spontaneamente e ingegnosamente dai nostri avi per risolvere problemi pratici grazie all’utilizzo di poche risorse povere che la natura metteva a disposizione ed alla propria manualità artigianale; in pratica si trattava di un piccolo ricovero a forma di capanna, il cui uso era quello di contenere paglia e foraggio per gli animali, ma anche come rifugio per i montanari stessi che venivano colti da improvvise intemperie del tempo e non potevano facilmente tornare alle proprie abitazioni giù a valle.
Lo pagliaro, così come ancora oggi viene chiamato dalle nostre parti, veniva di solito costruito vicino alla casa colonica o alla stalla, le cosidette “massarie”, le masserie anch’esse importanti architetture rurali in via di estinzione che andrebbero invece rivalorizzate per un discorso turistico e non solo anche di orgoglio e identità in cui un popolo possa riconoscersi per cominciare a guardare al proprio futuro.
Il materiale che serviva alla costruzione del pagliaio veniva procurato preventivamente: la legna per costruire lo scheletro della struttura, infatti, veniva tagliata in primavera, con la luna in fase calante (in mancanza); il rispetto di questa antica regola che viene tutt’oggi seguita in tutte le pratiche agricole di semina e raccolto , deriva inconsapevolmente dai principi dell’agricoltura sinergica e biodinamica. Nello specifico era fondamentale tagliare la legna in questa fase, togliere la corteccia ed evitare così di essere attaccata dagli insetti.
Anche la scelta del punto del terreno dove costruirlo era di fondamentale importanza, in quanto occorreva scegliere un punto dove non c’erano ristagni di acqua e a volte se necessario veniva livellato il terreno. Poi si prendevano i due trochi più robusti adatti a sostenere l’intera struttura e si posizionavano verticalmente alla giusta profondità per essere stabili a sostenere una trave trasversale posizionata tra i due.
Terminata questa prima fase veniva realizzato il perimetro con pietre a secco di una sola fila per delimitarne la superficie e come appoggio per i pali per non farli stare a diretto contatto con il terreno e farli marcire e rendere la struttura più solida; infine, si lasciava uno spazio per l’entrata che veniva predisposta sempre in direzione che riparava dai freddi venti caratteristici di queste zone.
Si proseguiva con lo scheletro della struttura con robuste pertiche di legno (le perteche), con lunghezze e spessore più o meno simili, infine si procedeva quindi al rivestimento con fasci di Paglia di “Jurmano”, ossia il grano tenero posizionati in più strati e distribuiti in maniera uniforme sullo scheletro. In montagna, invece, venivano usati come rivestimento del “pagliariello”, delle zolle di terra tenute da pertiche predisposte molto vicine tra di loro al fine di trattenere le zolle di terra.
Una volta ultimata la costruzione , si effettuava periodicamente una piccola manutenzione solo dello strato esterno di paglia in quanto esposto alle intemperie del tempo, così man mano diventava sempre più compatto e impermeabile, in perfetta armonia con l’ambiente circostante.
Uno stile di vita a impatto zero permette di vivere meglio in simbiosi con la natura e diventa un impegno costante, che rinsalda lo spirito di appartenenza ad un luogo
Oltre alla funzione originaria, il pagliaio è stato usato anche per altri scopi in base alle esigenze del contadino ossia come ricovero, deposito di attrezzi, di vino e provviste varie o nascondigli quando si voleva stare da soli in pace o fuggire da occhi indiscreti. Addirittura durante il Terremoto che colpì la nostra terra all’inizio degli anni 80, la mia famiglia e tante altre ritrovammo ospitalità nell’emergenza proprio in uno di questi grandi pagliari in località “Macchione” per sopperire all’esigenza improvvisa dell’urgenza abitativa dormendo sulle numerose balle di paglia a disposizione.
Questo antico manufatto di architettura rurale ben si sposa con l’artigianato rurale vero e proprio fatto di pietra, legno, ferro e filati da cui nascono piccoli e grandi gioielli di artigianato nascosti negli antichi casali della Piana del Dragone e nel suo Centro Storico oramai anche esso in via di abbandono.
La visita quindi ad antiche piccole botteghe artigiane, il Museo Etnografico della Piana, gli antichi pagliari e le vecchie masserie disseminate sulla piana potrebbero diventare un’interessante attrattore di un turismo di nicchia, costituito prevalentemente da turisti che cercano sempre più un’emozione diversa di vivere un luogo rimasto intatto nel tempo che difficilmente potrebbero assaporare in altri luoghi, per questo è importante ricreare l’atmosfera e le memorie a noi care.
Il Museo Etnografico, mostra e documenta l’importanza della tradizione nella comunità rurale, illustra come era organizzata la casa contadina, gli antichi utensili del vivere quotidiano e tutto il folklore popolare e la vita di un tempo, il laboratorio del falegname, del calzolaio per riscoprire gli antichi mestieri.
Si potrebbe pensare di organizzare workshop per cimentarsi nell’apprendere le basi di queste antiche tecniche manuali e così far riscoprire il gusto di costruirsi oggetti da sè, oppure per tramandare la memoria storica e culturale del paese, costruire insieme un pagliaio di comunità, in modo che i turisti visitandolo, ma anche gli abitanti rendendo omaggio alla tradizione e facendola rivivere nei propri cuori, possano ricreare lo Spirito di Comunità di un tempo.
Passando dalle antiche tradizioni e guardando al futuro e alle vocazioni naturali del nostro stupendo territorio, bisognerebbe fare delle riflessioni tutti insieme e capire in che modo si potrebbe ricreare anche da noi una Microsocietà a misura d’uomo e di ambiente, il nostro territorio sarebbe congeniale ad ospitare o accogliere nel suo immenso territorio una sorta di Ecovillaggio, con abitazioni in bioedilizia prevalentemente ad uso turistico, ossia una comunità in cui tutti o la maggior parte si identificano in pratiche e utilizzo del territorio in modalità ecosostenibili, capendo l’importanza e il vantaggio per tutti nel vivere con una forte consapevolezza sia in termini di risparmio, salute e ritorno economico nel vivere secondo modelli di sostenibilità ecologica di comunità.
Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono!
Galileo, Galilei
Uno stile di vita a impatto zero permette di vivere meglio in simbiosi con la natura e diventa un impegno costante, che rinsalda lo spirito di appartenenza ad un luogo che tutti diciamo di amare, ma che pochi praticano a piedi o su due ruote, preferendo la comodità del fuoristrada. Sarebbe un bel collante per l’intera comunità, che potrebbe diventare un discorso di identità e concretezza nelle scelte abitative, energetiche di consumo, di salute e alimentazione biologica.
Per esempio si potrebbe privilegiare un’edilizia, fatta con materiali prodotti localmente come la Fibra di Canapa, la Paglia e Terra a Crudo, pietre e legno, facendo nascere anche maestranze specializzate del luogo da esportare anche fuori della nostra zona che si integrerebbero perfettamente con il territorio circostante, bypassando anche i vincoli naturalistici di cui la Piana del Dragone è soggetta facendo parte del Territorio del Parco dei Monti Picentini , stimolando l’uso di fonti rinnovabili risparmiando e garantendo energia pulita.
Si potrebbero creare Gruppi di Acquisto Collettivi per sviluppare idee cooperative di sviluppo e Casse Comuni per sopperire ai bisogni collettivi, costruzioni ecosostenibili in co-housing, per un nuovo modo di abitare con spazi di servizio condivisi, che permette una notevole riduzione dei costi e aumento della socialità e della cooperazione; Il recupero di terreni incolti con lo sviluppo di metodi volti all’autosufficienza, tramite la messa a coltura dei terreni circostanti; la contaminazione di un nuovo stile di cooperazione e comunità sociale, tramite lo sviluppo di un Piano Rurale Sociale (Rural Social Plan) che punta a promuovere comportamenti di solidarietà glocale, nel rispetto dell’ambiente e umanità locale e globale.
Insomma questi sono soltanto dei punti, di idee ce ne sono a centinaia, con la “Volontà di Tutti” volendo ci sarebbe tanto da “Fare”, bisogna però che ci sia questa volontà ed impegno nel “Cambiamento”, senza il quale ogni sforzo risulta vano.
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