Volturara Irpina: 23 settembre 1943
Non sempre le ricorrenze rappresentano motivo di gioia ed il 23 settembre è una di quelle date la quale ci ricorda che nel lontano 1943 a Volturara Irpina morirono circa 60 civili sotto il bombardamento tedesco-alleati. In ricordo di tali caduti, proprio a Piazza carmine, si trova un monumento sul quale sono incisi i nomi di tutti coloro che persero la vita quel maledetto giorno ed il giorno precedente, il 22 settembre.
Ho sempre pensato che Volturara fosse un porto sicuro, un posto dove rifugiarsi in caso di pericolo e non un posto da cui scappare per mettersi in salvo. Sicuramente lo pensavano anche gli abitanti di allora, ma la guerra non conosce differenza e fu così che il mio bel paesello divenne campo base dei tedeschi e quindi motivo di bombardamento da parte degli alleati per sconfiggere l’invasore.
La vita di molte famiglie cambiò all’improvviso e tra questi anche quella di Di Meo Donato ( 1897- 1943 ), fu Di Meo Michele ed Alessandra, e di sua moglie Rosa e dei suoi 4 figli: Michelina ( 1922-2011 ) che all’epoca dei fatti aveva 21 anni e pur essendo sposata viveva con loro in quanto suo marito Di Meo Mariano si trovava chissà dove a combattere una guerra che non era sua , poi c’erano Michele ( 1925- 2020 ), Costantino ( 1928 – 2019 ) ed Alfio ( 1937 ).
Durante quei giorni buii, Donato al fine di proteggere la sua famiglia ed il suo gregge che rappresentava l’unica fonte di sostentamento, pensò bene di rifugiarsi in montagna, località “Faieta” – Monte Terminio, pensando appunto che lì sarebbero stati al sicuro. Il destino però a volte ha già deciso per noi ed al povero Donato spettava un destino crudele.
Intanto a valle , quel fatidico giorno, in zona Ceraso, proprio sul luogo in cui aveva la propria dimora “baracca” la famiglia Di Meo Donato ci fu un conflitto a fuoco tra alleati e tedeschi i quali riuscirono ad abbattere 2 aerei americani uno dei quali andò a precipitare , disintegrandosi e prendendo fuoco proprio sul terreno dove si trovava la loro abitazione prendendo anch’essa fuoco.
Successivamente come avvennero i fatti realmente non è certo saperlo, ma sappiamo che la Sig.ra Clelia , cognata di Donato in quanto sposa di suo fratello Salvatore Di Meo, si recò in montagna per avvertirlo di quanto era successo pronunciando la seguente frase: “Donà, lo pagliaro arde e tu te ripuosi? ” e Donato rispose : “e che ce’ pozzo fa’?”, non contenta Clelia riprese il cognato per la seconda volta ed allora Donato cambiò idea e decise di scendere a valle per vedere di persona i danni recati alla sua proprietà. Sua moglie non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto suo marito vivo perchè Donato non tornò mai più dai suoi cari. Si racconta che fosse quasi giunto a destinazione quando perse la sua vita su una mina inespolsa e così morì all’eta di 46 anni. Il destino beffardo volle che nelle vicinanze c’erano delle persone nel campo che non è dato sapere se il loro cenno fu un cenno di saluto oppure di andare via, sta di fatto che Donato un attimo dopo non c’era più.
La sua famiglia non vedendolo arrivare decise di scendere al pease e lo trovarono lì sul ciglio della strada a pochi passi dalla loro abitazione e con la mano destra infilata sotto la giacca a protezione di Lire 1.000 che aveva appunto nel taschino interno della giacca.
Donato aveva portato la sua famiglia in salvo in montagna, ma non era riuscito a salvare se stesso dal proprio destino lasciando alla moglie il compito di portare avanti la famiglia e prendendosi cura in particolare del più piccolo Alfio che allora aveva 6 anni ed è il protagonista dell’intervista
Per chi vuole può ascoltare la sua intervista integrale che troverete a fine articolo ( mi scuso fin d’ora con coloro che visualizeranno il video se in esso troverete qualche imprecisione dovuta all’emozione nel raccontare i fatti che restano sempre dolorosi nonostante siano passati tanti anni. Non è vero come spesso di dice che il tempo guarisce le ferite ed aiuta a dimenticare , perchè nel momento stesso in cui si ricordano eventi personali e dolorosi si prova la stessa stretta al cuore dell’istante in cui succede ). L’intervista è stata realizzata proprio nel terreno in cui avvenne il crash aereo e dove ancora oggi resiste parte della baracca ricostruita dopo che la prima venne distrutta dall’incendio provocato dall’areo precipitato sul suolo di proprietà di Donato.
Ho voluto raccontare la storia di Donato perchè lui come tutti gli atri deceduti quel maledetto giorno non venissero dimenticati e perchè loro rapprensentano i nostri eroi e come tali non vanno dimenticati.
Purtroppo la guerra come spesso accade a deciderla sono i potenti, ma a morire sono coloro che con la guerra non c’entrano nulla e che neanche l’avrebbero voluta
Per chi volesse,noi della Bocca del Dragone saremo lieti di intervistare coloro che vogliono ricordare i loro cari che la seconda Guerra Mondiale porto via.
Curiosità:
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molti di voi si saranno fatti la domanda:come mai il cognome di Donato è Di Meo mentre i figli portano il cognome Meo? La risposta è semplice, l’anagrafe di allora commetteva ogni tanto questi tipi di errori e quindi in questo caso attribuendo il cognome erroneamente .
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il marito di Meo Michelina ( figlia di Donato ), Di Meo Mariano, ritornò dalla guerra nel settembre del 1945 e scoprì così che suo suocero aveva perso la vita su una mina inesplosa. Gioa e dolore camminano sempre unite, da una parte il dolore per la perdita di Donato e dall’altra la gioia per il ritorno di Mariano. Com’è noto non sempre da una guerra si ritorna vivi, a volte non si ritorna proprio. Mariano fu prigioniero a Norimberga da dove riuscì a scappare prima della liberazione degli alleati e dopo tanti mesi riusci a raggiungere a piedi il suo amato paesello. Tanti sono i racconti legati alla sua odissea, ma quello che più mi è rimasto impresso è il seguente: nel campo per fortuna non era solo, cioè si trovava in compagnia di un soldato sempre irpino il che rese più ” la sua prigionia” più lieve. Un giorno entrambi furono incaricati di portare con la carriola a scaricare del materiale nei pressi della recinzione articolata, giunti a destinazione trovarono una patata per terra e con gli occhi chiesero alla guardia che li accompagnava se potessero prenderla , lui fece cenno di sì ed in un attimo si sentì un colpo di arma di fuoco e videro la guardia benevole a terra colpito da un’altra guardia SS per aver permesso ai prigionieri di compiere quel gesto.
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